Edoardo Sangiorgio, una storia ginosina dimenticata

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Nel cimitero di Ginosa, appena prima della Cappella con i loculi della confraternita di Santi Medici, c’è una lapide, stinta dal tempo dalla pioggia. Le parole sono quasi illeggibili: oltre il cancelletto di ferro, due lapidi ricordano gli esponenti più illustri di una famiglia di avvocati che segnò la storia di Ginosa dalla seconda metà dell’800 agli anni 30. Rodolfo, ma soprattutto Edoardo Sangiorgio, esponente di primo piano del Partito Socialista italiano nel Tarantino, che mai si piegò al regime fascista e patì il confino e le botte delle squadracce in nome di una libertà di pensiero e di azione difesa con intima coerenza, che veniva dalla convinzione ferma e risoluta delle lotte per l’affrancamento e il miglioramento delle classi lavoratrici, che fossero contadini o operai dell’Arsenale di Taranto.

Vorrei partire dalla storia smozzicata, sommersa e dimenticata di questo avvocato ginosino, che fin da giovane a soli 26 anni fondò a Taranto uno dei primi circoli socialisti per il mutuo soccorso degli arsenalotti della città Ionica, per ricordare una festa, quella della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, che proprio come la vita di Edoardo Sangiorgio, rischia di cadere nell’oblio.

Sulla lapide, come su una targa corrosa dall’umidità, e impressa sul frontone della Cappella, si riescono a malapena a decifrare le date di nascita e di morte insieme ad un epitaffio commemorativo, di cui non si distinguono più le l’interventismoparole.

Edoardo San Sangiorgio era nato a Ginosa l’8 luglio 1866 ed è morto a Taranto il 9 dicembre 1930, Proprio quando il fascismo celebrava e consolidava il suo potere al centro come in periferia.

Secondo quanto riportato dal sito socialismoitaliano 1892, Edoardo Sangiorgio fu una delle figure più eminenti ed importanti del socialismo nascente nel meridione.

Sul finire dell’800, la crisi economica che colpì tutta la Puglia e il Salento in particolare di cui Taranto faceva parte prima dell’inizio del nuovo secolo, dette luogo all’acutizzarsi dei contrasti sociali anche nelle campagne circostanti e, per iniziative dell’avvocato Edoardo Sangiorgio (prestigioso dirigente già nel 1892 aveva aperto un circolo o socialista a Taranto), si costituirono leghe di resistenza dei braccianti e contadini poveri a Ginosa, Castellaneta, Palagiano e Palagianello.

Nel 1906 da Brindisi rientrò a Taranto Odoardo Voccoli, giovane ex studente liceale di estrazione borghese, che ricco di esperienza di organizzatore sindacale e di cooperazione acquisita a Brindisi (e prima ancora a Genova) si dedicò l’organizzazione dei portuali e di altre categoriee.
Con queste strutture organizzative, sotto la guida di un qualificato gruppo dirigente, di cui erano elementi di punta Sangiorgio e Voccoli, il movimento socialista fu l’animatore delle grandi lotte sindacali degli arsenalotti e dei contadini del circondario.

Nel 1906 Sangiorgio, Voccoli e l’arsenalotto Francesco Boccuni furono eletti consiglieri comunali di Taranto. Alle elezioni politiche del 1907 venne sostenuta la candidatura di Enrico Ferri collegio di Castellaneta e il popolo socialista tarantino si caratterizzò come il più intransigente e rivoluzionario del Salento.

La debolezza delle organizzazioni contadine poneva d’altronde in evidenza il ruolo decisivo della classe operaia delle città e in particolare di Taranto che, già allora, con l’arsenale e alcuni piccoli cantieri si presentava come uno dei pochi centri industriali del Mezzogiorno, mentre nel Salento si manifestavano le carenze della politica socialista nelle campagne, all’epoca imperniata sulla nazionalizzazione della terra.

Nel 1911 la classe operaia di Taranto, sotto la guida dei socialisti, fu animatrice della battaglia per il suffragio universale. Collegandosi alle lotte sociali, marcando le loro tendenze intransigenti e rivoluzionarie, i dirigenti socialisti agirono in profondità con comizi, riunioni e manifesti per dare una coscienza rivoluzionaria alle masse.
Nella stessa direzione premevano i giovani e i sindacalisti, sicché in preparazione del Congresso nazionale di Reggio Emilia (aprile 1912), dal congresso socialista pugliese uscì vittoriosa la tendenza rivoluzionaria e, nel Consiglio della Federazione socialista, venne eletto il capo della lega di resistenza di Palagianello.

Al Congresso Socialista di Reggio Emilia i delegati di Taranto e di Castellaneta votarono l’odg presentato dal delegato della Federazione di Lecce, in cui si affermava il concetto fondamentale della lotta dl classe, quale base teorica e guida pratica dl ogni azione socialista e stabiliva per le elezioni politiche l’adozione del metodo intransigente.
Un momento di difficoltà era stato peraltro vissuto dal socialismo tarantino nel 1911, allo scoppio del la guerra di Libia. Il gruppo dirigente aveva condotto una lunga battaglia contro questa guerra ed erano stati diffusi manifestini fra i militari; a Palagianello, un comizio tenuto dal giovane Portone era stato interrotto dal carabinieri e un manifesto contro la guerra era stato vietato. La prospettiva di un ulteriore sviluppo dell’arsenale e degli altri impianti militari, che il governo Giolitti, faceva Intravedere connessa all’occupazione militare della Libia, agì però sugli orientamenti degli arsenalotti che, nonostante le lotte sostenute per la soluzione dell’annosa vertenza riguardante l’assegnazione delle categorie, non sostennero i candidati socialisti delle elezioni del 1913. A farne le spese fu Edoardo Sangiorgio che raccolse solo 250 voti.
Sul finire del 1913 e all’inizio del 1914, in presenza dl una situazione economica e sociale drammatica, i Socialisti tarantini furono gli ispiratori e dirigenti di grandi scioperi di ferrovieri e di contadini, nonché dl manifestazioni di protesta contro l’autoritarismo dei governo Salandra. I socialisti si fecero poi promotori di varie iniziative In appoggio alla ‘Settimana Rossa” e, con una vivace opposizione politica e sociale contro l’entrata in guerra dell’Italia e con una grande campagna di orientamento antimilitarista delle masse popolari, attività che si saldarono con l’azione svolta da Edoardo Sangiorgio e dai sindacalisti rivoluzionari negli anni precedenti. Per la sua coerenza e combattività fu chiamato a far parte della direzione nazionale del PSI, una nomina che oltre a costituire il riconoscimento dei suoi meriti, confermava il prestigio del leader socialista tarantino. Ma Taranto era una base militare e l’interventismo, favorito dalle autorità militari, vi aveva un terreno facile.

Nonostante il costante peggioramento delle condizioni di vita, negli anni della guerra mondiale le rivendicazioni dei lavoratori non trovarono lo sbocco necessario né la disponibilità dei sindacati e della Sezione socialista, indeboliti com’erano anche dal richiamo alle armi del loro dirigenti.

Con Voccoli chiamato a prestare servizio militare e con Sangiorgio inviato al confino sotto l’accusa di avere svolto “attività eversive”, le organizzazioni operaie e contadine tarantine furono ridotte a una stasi che si protrasse fino al 1918.
La ripresa delle attività di lotta si ebbe nel 1919.

Cresciuta numericamente con lo sviluppo dell’Arsenale e dei cantieri navali, superato il travaglio interno provocato dalle prospettive connesse alla produzione bellica, la classe operaia tarantina dovette riflettere sulle precedenti esperienze e perciò assolse un ruolo fondamentale nella conduzione dl numerose e importanti lotte che caratterizzarono quell’anno, particolarmente quelle contro il caroviveri e in difesa dei cantieri Salerni e Tosi minacciati di smobilitazione. La situazione non era molto diversa nelle campagne del circondario, dove permaneva la stagnazione delle strutture economiche e sociali dei periodo prebellico, mentre la smobilitazione dei militari faceva salire gli indici di disoccupazione del braccianti e dei contadini poveri. Drammatici scontri con la polizia e i carabinieri si ebbero a Castellaneta, a Ginosa e in altri comuni. Questa situazione favoriva peraltro il rilancio del Partito Socialista e la riorganizzazione dei sindacati. A Taranto la ripresa fu contrassegnata da interventi della polizia e delle truppe per stroncare gli scioperi contro il caroviveri e quello proclamato per la scarcerazione degli arrestati.
Vi furono 4 morti e parecchi feriti. Nel corso di questa lotta, un grave dissidio sulla tattica da adottare nella conduzione dello sciopero sorse tra Voccoli che dirigeva la Camera del lavoro aderente alla C.G.L. Innocento Cicala, che era Invece alla testa della Camera sindacale di ispirazione anarcosindacalista. Entrambi furono arrestati e poi rilasciati (Cicala, nel 1922 passerà al fascismo). Negli stessi anni anche a Taranto si accentuavano le differenziazioni e le tendenze contrastanti all’interno del P.S.I. fra riformisti, massimalisti e rivoluzionari, mentre non poche erano le pressioni esercitate dai sindacalisti rivoluzionari che, in Puglia, rappresentavano una forza considerevole. A Taranto la Camera sindacale diretta da Cicala dichiarava 8.000 iscritti.
Il P.S.I. va diventando sempre più un partito operaio, a cui fa capo sempre un maggior numero di aderenti, specie dopo lo conseguenze economiche e sociali che la guerra mondiale ha prodotto si legge sulla stampa locale dell’epoca.
La reazione alle lotte sociali da parte del padronato si fece sempre più violenta. Dopo un lungo sciopero contro il caroviveri, svoltosi a Taranto, il 19.7.1920 fu costituita la locale sezione del fascio, promossa e sostenuta da industriali e agrari. Alcuni mesi più tardi venne distrutta dai fascisti la Camera dei lavoro di Taranto e furono incendiate quelle di Massafra e Crispiano. Gli iscritti alla lega di Statte (borgata dl Taranto) che chiedevano di mietere il grano alla masseria “Girandola, furono respinti a fucilate; a Castellaneta, i contadini che avevano lavorato senza ingaggio (facendo uno «sciopero bianco”), quando si presentarono per riscuotere Il salario furono anch’essi accolti dal padroni a fucilate: si ebbero 5 feriti e venne proclamato lo sciopero generale. Al cantiere navale Tosi, dove da mesi era in corso una agitazione per impedire l’esecuzione dei licenziamenti, gli operai occuparono la fabbrica. La Direzione rispose con una serrata che durò circa tre mesi.
Nell’aprile dei 1921, a Massafra e a Castellaneta i fascisti imposero le dimissioni delle amministrazioni comunale. Incendi e distruzioni di leghe, circoli e Cooperative da parte di squadracce fasciste si ebbero in altri comuni i dei circondario. Per combattere le forze socialiste, il fascio, che aveva il proprio epicentro a Taranto fece ricorso all’alleanza fra combattenti e strati della piccola e media borghesia in accordo con agrari e industriali. Gli anni che seguirono furono dl reazione aperta e dl vili aggressioni: per stroncare uno sciopero indetto a Taranto per solidarietà con la Camera di lavoro di Bari, difesa nel 1922 dai lavoratori guidati da Giuseppe Di Vittorio, la città fu invasa da nazionalisti e fascisti. I dirigenti che guidavano le lotte In difesa di organizzazioni politiche e sindacali furono i primi a subire la violenza fascista: Edoardo Sangiorgio si vide devastare la casa e, trascinato nella sede dei fascio, poté salvarsi solo grazie all’intervento tempestivo della polizia.
La scissione di Livorno
Alla luce di quelle esperienze i dirigenti socialisti dovettero riconsiderare le posizioni politiche dei P.S.I. Non a caso i leader più prestigiosi (Voccoli e Sangiorgio) furono I primi a schierarsi con i comunisti. Taranto con tutto il suo circondario si presentava peraltro come la zona più “rossa” della provincia di Lecce: nel 1920 sia Voccoli che Sangiorgio erano stati eletti consiglieri provinciali e, al Congresso socialista di Livorno (gennaio 1921). Odoardo Voccoli, come delegato, poté portare l’adesione alla mozione comunista a nome non solo della Sezione socialista di Taranto, ma anche dl quelle di Massafra, Castellaneta, Grottaglie, Monteiasi, Montemesola e Mottola.

Nel 1922, esattamente il 4 novembre , i fascisti ginosini occuparono il Comune e i moti che ne seguirono lasciarono 4 morti sul terreno, oltre ad una vittima tra gli stessi fascisti, Vito D’Apolito, sulla cui morte ancora non tutto è stato chiarito. Il sindaco dell’epoca, Rodolfo Sangiorgio, fratello di Edoardo, passato dai socialisti ai popolari di Don Sturzo, fu costretto a fuggire.

i fatti di Ginosa segnarono uno spartiacque anche del Movimento operaio del Mezzogiorno, mentre il regime fascista si consolidava Edoardo Sangiorgio continuò la propria attività politica clandestina e più volte fu sottoposto alle angherie delle camicie nere fino a quando morì a Taranto il 9 dicembre del 1930 dopo aver patito il confino di polizia,

Oggi è una figura ingiustamente dimenticata. La sezione di quello che fu il Partito Socialista italiano a Ginosa era dedicato a lui. Ma troppo tempo è passato e nessuno se ne ricorda più,

Si potrebbe fare una doverosa operazione di memoria storica, consegnando alle giovani generazioni il patrimonio di quello che siamo stati. La storia è fatta di momenti e di documenti. Come quella lapide dimenticata all’ingresso di una cappella vuota, che nessuno cura più, ma che, il Comune potrebbe far rimbiancare, riportandola alla Gloria che merita.

Pensiamoci.

3 pensieri riguardo “Edoardo Sangiorgio, una storia ginosina dimenticata

  1. Straordinario!Vorrei segnalare la pag. 58 del libro di Nicola Tamborrino”Il Garofano Rosso”in cui ,oltre alla foto della lapide allora leggibile, è riportato il testo dell’ epigrafe:”Avvocato /Edoardo Sangiorgio /fervente apostolo /di libertà di giustizia/ che la ferocia di dispotico regime/soffrì/senza mai piegarsi/questo marmo ricorda/alle generazioni venture/protese alla conquista/di un mondo migliore.

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